La felicità esiste? C’è un modo per essere felici? La felicità è un mito, che ha fatto alla nostra società più male che bene, o è un orizzonte possibile? È un diritto di nascita, come sanciscono alcune costituzioni illuminate, o è un’eterna ricerca? È una questione di attimi o una scelta quotidiana?
Gli esseri umani si pongono queste domande dall’inizio dei tempi o, quantomeno, da subito dopo aver risolto le questioni di sopravvivenza. Potremmo dire che la ricerca della felicità è l’oggetto della filosofia e, in un certo senso, anche delle religioni.
Tutti noi ne parliamo molto e, a volte, in modo un po’ superficiale. “Non mi rende felice”, “ero così felice”, “non siamo più felici”.
A volte, la felicità entra nel discorso collettivo in modi sorprendenti. La Finlandia, per esempio, “è il paese più felice del mondo per il settimo anno consecutivo”, secondo un rapporto delle Nazioni Unite pubblicato il 20 marzo. Gli studiosi ritengono che la prossimità con la natura e un buon equilibrio tra lavoro e vita privata siano i fattori che più influenzano il risultato, seguiti dalla possibilità di fidarsi delle istituzioni, dal basso livello di corruzione e dal libero accesso ad assistenza sanitaria e istruzione. Ma è possibile misurare una “quantità di felicità media”? E la felicità è una faccenda individuale o sociale? Privata o collettiva? Nasce da dentro o è influenzata dall’ambiente?
Naturalmente, il mio lavoro ha molto a che fare con la felicità delle persone che mi chiedono aiuto. quello che desidero è esattamente accompagnare ciascuno a trovare la propria dimensione felice: contribuire ad aumentare la felicità nelle relazioni tra le persone e attraverso utili progetti. Perciò, mentre la primavera bussa alle porte, con il suo senso di rinascita, con i suoi doni di luce, con i fiori e i frutti che l’inverno aveva custodito, vorrei condividere con voi alcune riflessioni semplici su questo tema inesauribile.
Ciò che chiamiamo “felicità” riguarda principalmente tre ambiti: la sfera dell’Essere, ovvero il rapporto con noi stessi; la sfera della Relazione, ovvero il rapporto con gli altri, e la sfera dell’Opera, ovvero i nostri progetti e il modo in cui li realizziamo. Ricordando sempre che la Vita ha una sua saggezza e conosce i tempi e i modi meglio di noi, siamo tuttavia – indubbiamente – chiamati anche ad agire, a operare attivamente, per trovare la miglior maniera per vivere questa felicità che, nel coaching, chiamiamo anche “autorealizzazione”. Una forma di pienezza in cui riusciamo davvero ad accorgerci dei nostri doni e a farli fiorire, trovando pace e soddisfazione per noi stessi, mentre offriamo il nostro contributo per il Bene.
Il mio punto di vista è che la felicità non solo esiste, ma è anche alla portata di ciascuno. La nostra vera missione. Non è, però, un punto di arrivo. È una scelta quotidiana, sostenuta dall’amore per la vita e dalla volontà di progettarla, costruirla e viverla giorno per giorno. Chi sceglie di essere felice si impegna costantemente per attraversare le situazioni, anche quella di sofferenza o di fatica, allenando il proprio sguardo e puntandolo volontariamente verso ciò che è Bene.
È una decisione che si può prendere cambiando il punto di vista, imparando dalle esperienze ed esprimendo il proprio potenziale.
Naturalmente ci sono condizioni e situazioni che mettono a dura prova la nostra ricerca della felicità. Non si può andare da qualcuno invitandolo semplicemente a “decidere di essere felice” sotto le bombe, nelle tribolazioni, in un lutto o mentre patisce la fame. Tuttavia, è importante capire che la felicità matura dall’interno, proprio come un seme che coltiviamo dentro di noi. D’inverno starà lì, così silenzioso da sembrare assente, ma a tempo debito saprà fiorire.
La felicita non è una vita esente dai guai, ma un’esistenza che comprende e armonizza tutte le dimensioni della nostra umanità. Non si ottiene escludendo il dolore, ma è una maniera di vivere: l’attraversare, accogliendolo, quello che la vita ci offre. Quello che la vita ci offre, così com’è. La felicità, diceva Agostino d’Ippona, consiste nel desiderare ciò che si ha. Ovvero nell’accoglierlo e trattarlo come un dono, con riconoscenza e gratitudine.
Come si ottiene questo nuovo sguardo? Ricordiamo che il seme per poter germogliare ha bisogno di essere interrato: è nel buio che inizia il suo percorso di crescita, mettendo le radici, ancorandosi nella profondità della terra dalla quale riceverà il suo nutrimento. Solo dopo comincerà il suo viaggio all’inseguimento della luce del sole e troverà la forza di farsi strada e sbucare dal terreno, diventando un giorno proprio quel fiore o quella pianta. E ci sarà un momento, un breve e decisivo momento, in cui quel bocciolo ancora chiuso sarà già – eppure non ancora – il fiore della nostra felicità. Quello è il momento della Scelta.
Mi piace anche ricordare che un seme ha bisogno dell’acqua, e che l’acqua è l’elemento che viene da sempre associato al mondo emotivo. L’etimologia della parola “e-mozione” ha a che fare con la capacità di muovere e smuovere, di mettere in moto, di accendere cambiamenti e portare evoluzione. E perfetta è la simbologia dell’acqua, che sa farsi pioggia di nutrimento o torrente in piena, mare immenso o goccia di rugiada.
Così anche noi. A volte incontreremo emozioni più facili da riconoscere come nutrimento immediato. A volte invece dovremo aspettare che “si calmino le acque”. A volte ancora attraverseremo mari francamente agitati che ci metteranno a dura prova. Ebbene, il nostro potenziale di felicità sarà sempre lì. Nella capacità di orientare lo sguardo al Bene, di far tesoro delle esperienze, di accogliere tutto senza giudizio.
Qui (episodio 8 del Podcast “Seminiamo bellezza”) ti ho proposto una meditazione guidata per sostenere la tua ricerca della felicità. Naturalmente i modi possono essere tanti e diversi: l’importante è ricordarsi che c’è un lavoro da fare, che siamo qui per farlo e che senz’altro ne vale la pena.
La felicità è una scelta che a volte richiede uno sforzo, scriveva Eschilo già duemilacinquecento anni fa. È una lezione che stiamo ancora, tutti, imparando. A patto di sapere che non si tratta di uno sforzo “contro” qualcosa, di una lotta o di un atto di ribellione. Bensì della serena decisione di accettare la fatica del cammino: per accorgersi ancora una volta che la felicità non è la meta, ma la strada.