Eccoci qui. Giornate brevi, commissioni da sbrigare, consumismo in agguato. Tante luci per le strade, ma come sta la fiamma dentro di noi?
«La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu». È il celeberrimo incipit della Bibbia, la cosmogonia più radicata nella cultura occidentale. Ma ogni civiltà ne ha una, che non suona mai tanto diversa da così: perché fin dalla… notte dei tempi, per l’appunto, la luce è considerata l’inizio, il primo atto, la genesi. Non per niente diciamo “venire alla luce” come sinonimo di “nascere”, “dare alla luce” per “partorire”, o “vedere la luce” per indicare l’inizio di qualcosa (o la fine di un periodo buio).
Mentre l’anno tocca il suo momento di maggiore contrazione delle ore di luce, complici i proverbi su Santa Lucia e un bellissimo articolo di Alessandro D’Avenia, mi viene da tornare su uno dei temi a me più cari in assoluto.
All’argomento, come sapete, ho dedicato il mio ultimo libro, Nel buio le stelle, dove ho cercato di esplorare il modo in cui proprio dalle nostre zone d’ombra possono emergere risorse insospettate. Il massimo del buio contiene già la luce: è il concetto cardine dell’intera filosofia taoista, che lo ha immortalato nel simbolo universale in cui bianco e nero si inseguono senza sosta, ed è la ragione stessa per cui il Natale di Gesù è collocato simbolicamente proprio in questa fase dell’anno, a ridosso del Solstizio d’inverno, cioè quando il buio smette di aumentare e la Luce prende di nuovo il sopravvento.
Ma non è una guerra!
È piuttosto, come dice D’Avenia nell’articolo che proprio per questo mi è piaciuto tanto, la grande avventura di “nascere, diventare se stessi, trovare il sacro (mistero e meraviglia) della vita, cioè ciò che in essa non muore, il motivo per cui ciascuno di noi è qui. (….). È il racconto di come qualcuno riesce a ‘incarnare’ il proprio destino”.
Questo dialogo tra buio e luce, infatti, non è antagonismo, ma relazione: e relazione vivificante, generativa, suscitatrice!
Nel racconto della Genesi che abbiamo già citato, la creazione dell’uomo avviene in due tempi: prima Dio lo plasma, e lo fa “a sua immagine e somiglianza”, ma l’uomo è ancora inanimato. Un oggetto. Un involucro. Solo quando Dio “soffia” su di lui, l’uomo diventa “un essere vivente”: è la relazione a farlo vivere. A quel punto, all’uomo è dato il compito di “dare un nome” a tutti le altre creature e, pur esistendo già, è solo in quel momento, nella relazione, che anch’esse “vengono alla luce”.
Oggi sappiamo che questa grande intuizione ha un fondamento scientifico. Le onde elettromagnetiche, di per sé, non “generano luce”: “diventano” luce quando incontrano un occhio che le riconosce e un cervello che le decodifica. Ciò che esiste, esiste nella nostra capacità di riconoscerlo: nella nostra relazione con noi stessi, gli altri e l’Altro.
Qualche anno fa, proprio in questo periodo, in un piccolo evento organizzato per Seminiamo Bellezza, avevo incontrato un racconto che mi piace ancora molto: è ambientato appunto nei giorni del Natale e si chiama “Il pacchetto rosso” (l’hanno scritto e illustrato Linda Wolfsgruber e Gino Alberti ). Parla di una saggia nonna che, con l’aiuto di un “pacchetto rosso”, riporta la gioia in un paesino di montagna dove le persone hanno perso la fiducia e la voglia di stare insieme. Ma il pacchetto rosso è “vuoto”: è un oggetto, un involucro, non ha anima. A renderlo vivo, importante, salvifico, è la relazione: il gesto stesso di donare. Ed è quello che possiamo fare tutti, nel giorno più corto dell’anno o nel periodo più buio della vita: passarci di mano in mano la nostra luce, un cuore che scalda, la fiammella veneranda che brucia dentro di noi e ci collega con la Vita stessa. La parte che non muore. Il Sacro che ci abita.
Ed ecco allora che “dare alla Luce” assume un significato più letterale e insieme più profondo: siamo chiamati a “dare”, cioè a donare, a regalare, a offrire, a non fare mancare il nostro contributo alla Luce più grande in cui tutti siamo immersi.
E proprio nei momenti in cui il buio sembra durare troppo, possiamo sperimentare come la luce fa capolino dentro di noi: risorsa sorgiva e, allo stesso tempo, alimentata dall’esterno, da quell’essere in relazione che fluisce come un eterno dare e ricevere, con la fine che già contiene il principio e la consapevolezza salda che nessuna notte è infinita.