Arriva Capodanno e via con il repertorio: “un anno da dimenticare”, “speriamo che il prossimo sia meglio”, “nel 2024 basta, voglio proprio…”. Sono quelle che chiamo frasi depotenzianti. Ma il tempo convenzionalmente dedicato ai bilanci e ai buoni propositi è ideale per allenarci. A cosa? Anzitutto, a sostituire il giudizio con la gratitudine, e i desideri generici con una sana progettualità: non si tratta di pianificare con l’illusione di controllare tutto, ma di mettersi in cammino affidandosi alla Vita, nella certezza che, se abbiamo la grazia di fluire, per ogni ciclo che si chiude se ne aprirà un altro anche più bello del precedente.
Come al solito, questa consapevolezza è antica e universale, anche se nel quotidiano tendiamo a dimenticarcene. Il simbolo che è stato capace di rendere il concetto nella maniera più iconica appartiene alla cultura cinese ma, proprio per la sua perfezione plastica, ha valicato ampiamente i confini del taoismo e lo conosciamo tutti: il taijitu (Tai Chi Tu) è il celeberrimo cerchio in cui il bianco e il nero si compenetrano e sembrano inseguirsi, con la parte scura che contiene una goccia di chiaro e viceversa. Il nero e il bianco simboleggiano lo yin e lo yang, il buio e la luce, la notte e il giorno, il femminile e il maschile, il freddo e il caldo e così via: gli opposti complementari, inscindibilmente legati, che danno equilibrio alla nostra vita.
Il buio contiene la luce: è un concetto che incontriamo, anche empiricamente, proprio in questo periodo dell’anno, quando al massimo della contrazione di luminosità, percepiamo a poco che le giornate ricominciano ad allungarsi. È proprio per questo, peraltro, che il nostro calendario “giuliano”, quello ereditato in Occidente dagli antichi Romani, colloca il Capodanno a ridosso del Solstizio di inverno, cioè quando il ciclo della Natura sta per ricominciare. Il primo giorno dell’anno, nella cultura latina, era dedicato a Giano (da cui “gennaio”), e chi era Giano? Guarda caso, il dio degli inizi, il patrono delle nuove attività, colui che guidava i passaggi attraverso la “porta” (ianua), anche intesa come porta del tempo. Ma, come tutti sappiamo, Giano era “bifronte”: quasi sempre rappresentato mentre guarda sia al passato sia al futuro, in una continuità impossibile da spezzare.
Come dicevamo in apertura di questo post, però, ci sono vari modi di guardare al passato e al futuro. Spesso tendiamo a giudicare le cose successe in termini di vittorie o fallimenti, di cose giuste o di errori, di avvenimenti positivi o di “sfortune”. Non è l’unico modo. Possiamo invece guardare al passato con riconoscenza: accogliendo e abbracciando quel che è stato come un’esperienza che, in ogni caso, ci ha arricchito e ha segnato una tappa del nostro cammino. Non vuol dire, ovviamente, abdicare a ogni discernimento, ma considerare che, in un’ottica più grande, tutto concorre al Bene. Una delle preghiere più antiche della tradizione cristiana è il cosiddetto “Te deum”: è un inno di lode e ringraziamento che si recita con i Vespri del 31 dicembre. Di ogni anno. Per ricordarsi che, comunque sia andato l’anno, c’è sempre da ringraziare.
A me, come immaginerà facilmente chi tra voi mi conosce, piace salutare l’anno con una piccola meditazione: ne condivido volentieri lo spunto qui sul blog. Vi propongo di ripercorrere i vostri momenti più significativi di quest’anno, di ripensare alle persone che ne hanno fatto parte, a quelle che avete lasciato andare e a quelle che sono rimaste, ai progetti realizzati e a quelli che non hanno ancora preso il volo… inspiriamo ed espiriamo per accompagnare con cura e dolcezza tutto ciò che è stato. Possiamo immaginare di trovarci di fronte al mare e di consegnare all’acqua un fiore ad ogni evento passato, per ringraziare e nutrire di bellezza anche i nostri prossimi passaggi. Respiro dopo respiro, diamo un posto a ogni esperienza ringraziandola: in questo modo facciamo spazio dentro di noi per nuove progettualità, nuovi desideri profumati di utilità e di bene per l’esistenza. Alla Vita, che è più grande di noi, affidiamo i nostri intenti, con la certezza che saprà cosa farne, per il Bene nostro e di tutte le persone coinvolte.
L’augurio, per il nuovo anno o in qualunque momento vi troviate a leggere questo contributo, è quello con cui Cesare Pavese concludeva le sue lettere d’amore: “Che le rose fioriscano sul tuo sentiero”.